Il Mistero del Castello
Romanzo giallo breve scritto da:
Marco Bertamini
con l'aiuto di:
Martina Gladisch
e dedicato con tanto affetto a:
Paola e Andrea
Charlottesville, Virginia, Ottobre 1994
Forse e' il caso di approfondire la faccenda
Topolino in "Topolino e la dimensione F"
Personaggi
Paola: moglie di Andrea, capoufficio del catasto della Regione.
Andrea: marito di Paola, e l'unico insegnate di stenografia rimasto
nell'emisfero boreale.
professor Paolo Guerrini, preside dell'istituto in cui Andrea
insegna, ex consigliere comunale, si trova molto a suo agio in una
poltrona di pelle nera.
Sherazan: cinquenne dai riccioli neri.
John: ricco americano in cerca di lucrativi investimenti nel nostro
paese.
Mario: alto e distinto signore che indossa sempre guanti neri.
bibliotecaio: informatissimo custode della biblioteca della facolta' di
Economia
Ali e Sindbad: extra-comunitari con permesso di soggiorno.
giudice Di Pietro: non necessita presentazione essendo ormai
famoso quanto Poirot e Maigret.
Carla e Lorenzo: due colleghi di Paola che sono stati in vacanza in
Africa.
Pepe: un grassone dipendente di un albergo in Tunisia.
vigili del fuoco: non esclusivamente intenti a spegnere incendi.
due contadini della valle atesina: non troppo contenti del turismo
domenicale sulle loro montagne.
dipendente municipale: di lui sappiamo poco, ma poco importa.
Capitolo 1
Una limousine a Trento
Ma a chi serve la stenografia? La tecnologia ci ha regalato
computer tascabili che possono leggere la calligrafia di una
persona e riconoscere il linguaggio naturale. Eppure Andrea era li
davanti alla lavagna ad insegnare stenografia ad una classe di
studenti distratti e svogliati. Fuori dalle finestre aperte si sentivano
i rumori e gli odori della primavera, mescolati con i motori delle
automobili e le voci di una intera citta'. Era un tranquillo venerdi'
di aprile. Nessuno avrebbe potuto indovinare che in una simile
giornata importanti eventi stavano in agguato, eventi che
avrebbero cambiato la vita di molte persone, e la storia stessa del
paese.
Quando il campanello suono', Andrea chiuse il libro. Gli studenti
avevano gia' le cartelle pronte per scappare fuori dalla porta.
Andrea cammino' lungo il corridoio della scuola. Si soffermo' un
attimo davanti all'ufficio del preside. Il professor Paolo Guerrini
era persona nota non solo nel mondo della scuola. La porta era
socchiusa, Andrea busso' e poi entro'. Il preside stava sprofondato
nella sua poltrona di pelle nera e gli sorrise con quell'ampio e
innaturale sorriso che tradiva il suo passato nel mondo della
politica. Alcuni anni prima era stato consigliere comunale, ma
aveva abbandonato come molti non appena i problemi per il
partito si erano moltiplicati. C'era odore di fumo nella stanza.
--Mi dica, cosa posso fare per lei?--
--Bisognerebbe ripitturare le pareti delle aule--
--Prego?--
--Si, non e' stato fatto da anni, magari lasciare che gli studenti
creino dei murales. E bisognerebbe aggiungere una carta
geografica, molti dei miei studenti non sanno nemmeno se Firenze
si trova a Nord o a Sud di Roma--
Il preside parve infastidito per un attimo, poi torno' a sorridere
e disse
--Ma certo, professor Bertamini, di tutto cio' si discutera' al
prossimo consiglio. Lei sa benissimo che servono anche i fondi per
tutte queste belle iniziative--
--Si, volevo solo anticiparle alcune delle proposte che faro' in
consiglio. Il bilancio lo conosco e la mia proposta prevedera' anche
la copertura finanziaria. Buon fine settimana--
In strada il traffico era lento, un autobus giallo, che a Trento
tutti insistono a chiamare tram, stava voltando l'angolo,
trascinando il pneumatico posteriore lungo il marciapiede. In cima
alla via c'era il municipio. Un camion dei vigili del fuoco era fermo
davanti all'ingresso principale. Un vigile in divisa sedeva sul
paraurti anteriore del mezzo, e sembrava aspettare. La divisa
marrone dalle rifiniture rosse e i bottoni dorati sembrava appena
uscita da una sartoria.
--Bisogno di una mano?--
Il vigile si giro' e osservo' brevemente il tesserino di vigile
volontario che Andrea aveva tolto dal proprio portafogli.
--Non questa volta. Un tizio si e' incastrato in una porta del
municipio. Un americano grosso come una autobotte--
Mentre diceva questo il vigile si stava lisciando i lunghi baffi
grigi, sogghignando. Parcheggiata poco lontano c'era una
limousine bianca con i vetri oscurati. Non era certo la macchina
ideale per circolare a Trento. Occupava due dei parcheggi riservati
al municipio.
Dal finestrino posteriore si vedeva un volto appiccicato al vetro.
Era una bambina, di forse cinque o sei anni. Andrea sorrise e lei lo
saluto' con la mano. I vetri non lasciavano vedere molto, ma la
bambina aveva capelli scuri e riccioli che le scendevano sugli
occhi.
Il grasso americano usci in quel momento dal municipio. Era
rosso in viso e chiaramente in imbarazzo. Un vigile del fuoco lo
stava seguendo, mentre un impiegato del municipio parlava
agitatamente con un signore di cattivo umore che era appena
sopraggiunto dalla stessa direzione da cui era arrivato Andrea.
Costui era alto, vestito con un abito scuro e indossava guanti di
pelle nera. Aveva un quotidiano piegato sotto il braccio, ma non si
riusciva a vedere la testata. Il volto era spigoloso e gli occhi di un
grigio difficile da dimenticare. Il gruppo raggiunse la vettura
bianca e l'impiegato, con una espressione sottomessa, disse rivolto
all'americano.
--We will see you on Tuesday. Sorry about the inconvenience--
L'accento era quello di una persona che aveva imparato a
parlare inglese alle scuole superiori e non aveva piu' avuto
occasione di praticarlo.
L'americano e il tizio alto con i guanti salirono. Poi la vettura
parti' e si immerse nel traffico cittadino.
Andrea continuo' a camminare, seguendo il suo percorso
quotidiano attraverso la piazza del Duomo verso l'ufficio dove
lavorava sua moglie. La piazza era il cuore della citta' e come al
solito era piena di vita. Alcune bancarelle vendevano oggetti di
artigianato in legno. Una statua di Nettuno stava in posa sulla
fontana davanti al duomo. Brandiva un tridente che assomigliava
piu' ad una forchetta che non ad una vera arma.
Capitolo 2
Una vacanza in Africa
--Sono Andrea--
--Ciao, sali--
Rispose una voce al citofono.
Paola lavorava in uno dei tanti uffici della regione autonoma del
Trentino Alto-Adige sparsi per la citta'. Le stanze erano luminose e
ornate di fiori. I terminali, un po' goffi nelle loro fattezze, non
erano modelli recenti. Stavano allineati al muro, disattesi dagli
impiegati. Paola ed altre quattro persone erano intente a
conversare passandosi delle fotografie. Anche se Paola era a capo
dell'intero settore continuava ad intrattenere rapporti di amicizia
con molti suoi subordinati.
--Guarda, Carla e Lorenzo sono stati in Tunisia e in Marocco per
Natale. Guarda le foto. Che colori!--
Paola era pronta per uscire, la giacca in mano, ma invito'
Andrea a dare una occhiata alle foto delle vacanze in Africa. Si
vedeva la piscina di un albergo, Carla e Lorenzo in costume,
abbronzati e sorridenti. Con loro c'erano altre due persone, una
donna di colore, alta e magra, e un uomo estremamente grasso,
dalla carnagione piu' chiara. Carla spiego' che si trattava di
dipendenti dell'albergo.
--E quindi facevamo un tuffo in piscina tutte le mattine, prima
di colazione-- stava spiegando Carla. Carla era giovane,
probabilmente attorno ai 25 anni, aveva i capelli rossicci e un bel
sorriso. Parlava molto velocemente, anticipando le domande dei
colleghi. Le altre tre persone erano piu' anziane, ma vestivano
anche loro in modo informale.
Mentre scendevano le scale per uscire in strada e andare a
mangiare insieme, Paola teneva Andrea sottobraccio e parlava di
come fosse contenta che fosse ora di pranzo e di quanto si sentisse
assonnata a causa del fatto che la sera precedente avevano fatto
tardi ad una festa di compleanno.
Andrea si morse il labbro inferiore, come era solito fare quando
si concentrava per ricordare qualcosa.
--Ma, era la stessa persona. Il grassone nella fotografia: l'ho
visto poco fa qui a Trento--
Paola guardo' Andrea sorpresa, indecisa per un secondo se
continuare il proprio discorso o cercare di capire che cosa lui
stesse cercando di dire.
--Il grassone della foto?--
--Si, l'ho visto uscire dal municipio e salire su di una limousine-
-
--Ma dai, come e' possibile?--
Andrea racconto' brevemente cio' che aveva visto lungo la
strada quando era uscito da scuola. Risalirono insieme le scale per
fare ancora qualche domanda a Carla sulla sua vacanza in Africa.
Poco dopo, uscendo in strada, erano riusciti soltanto a scoprire il
nome della persona nella fotografia: Pepe.
Capitolo 3
La biblioteca
L'indomani era sabato, Paola e Andrea decisero che volevano
saperne di piu'. Si recarono insieme nella biblioteca della facolta' di
economia dell'universita' di Trento, che si trovava fortunatamente
in centro, non lontano dalla scuola in cui Andrea insegnava. Non
molte persone affollavano le sale il sabato mattina, alcuni studenti
universitari erano seduti nella sala studio ma si guardavano
attorno chiaramente cercando l'occasione di invitare qualche
conoscente a prendere un cappuccino al bar in strada. Su alcuni
tavoli, libri erano stati abbandonati aperti, con frasi sottolineate
solo a meta'.
Chiaccherando con il bibliotecaio, Paola e Andrea scoprirono
che la persona che Andrea aveva visto uscire dal municipio era un
ricchissimo americano interessato ad investire in regione.
Sembrava che avesse gia' acquistato il castello di Drena. Il
bibliotecaio cambio' pero' presto argomento, qualcosa di
importante stava succedento proprio in quel momento nella
biblioteca.
--Ragazzi, siete arrivati al momento giusto, altro che americani,
sapete chi e' venuto a farci visita questa mattina?--
Il bibliotecaio sembrava molto eccitato, e disse loro di recarsi
nella sezione archivi amministrativi, forse erano ancora in tempo
a vederlo in persona.
Incuriositi, Paola e Andrea seguirono le sue indicazioni. Nella
sala della biblioteca c'erano tre persone, una era seduta davanti ad
un terminale intenta in una ricerca negli archivi elettronici. Il
volto della persona seduta era noto, l'espressione seria ma
simpatica, le rughe sotto gli occhi per l'eccessivo lavoro, la fronte
marcatamente stempiata, ma il nodo perfettamente eseguito alla
cravatta. Le altre due persone in piedi sembravano collaboratori,
giovani eleganti che parlavano fra di loro con un
riconoscibilissimo accento lombardo. Una delle due era una donna
sui trent'anni, vestita con un tailler verde. L'altro era un uomo di
non piu' di trentacinque anni, ed aveva il volto immerso in una
cartelletta grigia, quasi stesse leggendo l'ultima pagina di un
romanzo giallo.
A casa, dopo aver fatto lezione, Andrea preparo' degli spaghetti,
e li condi' col pesto preso dal freezer. Come era inevitabile, a tavola
la conversazione ritorno' sull'investimento americano in regione.
Paola sembrava prendere la cosa con piu' interesse ora, soprattutto
perche' si trattava di una grossa novita'. Molte erano le domade
ancora senza risposta: chi erano questi americani? Che cosa
avevano intenzione di fare del castello di Drena? Come erano
riusciti a comprarlo, considerato che era fino a poco tempo prima
un museo pubblico?
--Qualcosa potrei scoprire dal catasto, cosa ne dici?--
Andrea fu subito d'accordo, anche lui era curioso, ma la sua
attenzione era ancora rivolta alla figura del miliardario americano
che assomigliava incredibilmente alla persona nella fotografia.
Mentre il caffe' stava salendo, Andrea scese a prendere la posta,
fra cui il quotidiano.
La notizia della presenza del giudice Di Pietro in citta' aveva
meritato la prima pagina dell'"Alto Adige". L'articolo pero' non
diceva nulla di preciso circa le ragioni del soggiorno a Trento di
una figura ormai famosa in tutta la nazione, ed anche nel resto
d'Europa. Si ipotizzava il fatto che il giudice stesse svolgendo
indagini preliminari su di un caso riguardante politici locali.
Sicuramente non si trattava di una vacanza per respirare l'aria
pulita del Trentino, anche perche' da un po' di tempo in Trentino la
gente si era resa conto che l'atmosfera apparentemente bucolica
della loro provincia non era, in fondo in fondo, meno sporca di
quella milanese.
Nelle pagine interne c'era anche un articolo riguardante un
progetto per un gigantesco parco di divertimenti da costruirsi
nella valle del Sarca. Il giornalista che aveva scritto il pezzo per la
sezione "Basso Sarca" si rallegrava di questo investimento estero in
regione. Parlava di soldi provenienti dagli Stati Uniti e diceva che
questa iniziativa non sarebbe fallita come era invece fallita Euro
Disney in Francia. L'iniziativa testimoniava anche la fiducia degli
investitori stranieri in questa parte d'Europa. In calce all'articolo
appariva la firma P.G. Anche se questo non era detto
esplicitamente, era chiaro che si trattasse dello stesso investimento
a cui si era riferito il bibliotecaio, ed il nuovo parco di divertimenti
sarebbe sorto attorno alle mura del castello di Drena.
Dopo aver letto il giornale a pranzo, Andrea riprese il lavoro di
arredamento della stanza che, per il momento, costituiva una
camera per eventuali ospiti. Era l'unica stanza che ancora non
possedeva un lampadario o tende alle finestre. Andrea si mise a
spostare un vecchio scrittoio verso la finestra, e collego' una
lampada da tavolo in modo tale da poter essere accesa con
l'interruttore alla parete. Almeno in questo modo si sarebbe potuto
accendere la luce senza dover camminare nella stanza al buio. Poi
guardo' fuori dalla finestra le nuvole che si muovevano
lentamente sopra Trento.
Paola invece aveva fatto ritorno all'ufficio e si era dedicata ad
una ricerca per scoprire l'attuale proprieta' e stato catastale del
castello di Drena. Vi impiego' piu' del previsto, zigzagando con
maestria attraverso codici e sottocodici assolutamente privi di
significato per l'occhio del non iniziato. Finalmente, nell'ufficio
vuoto, il computer fece il suo lavoro e stampo' sullo schermo il
nome dell'attuale proprietario del castello di Drena. Si trattava di
una societa' estera dal nome oscuro: New McBrown Co. con una sede
in Trento in via Roma. Aveva acquistato il castello,
precedentemente di proprieta' della regione, il giorno 6 febbraio.
Capitolo 4
Il castello di Drena
Paola usci' dall'ufficio guardandosi intorno, quasi insicura
anche in quei luoghi per lei cosi' familiari. Prese l'autobus per
tornare a casa continuando a pensare a che genere di societa' dal
nome sconosciuto potesse decidere da un giorno all'altro di
costruire un gigantesco parco di divertimenti proprio in Trentino.
Senza contare il fatto che la cessazione di una importante
proprieta' della regione non avviene mai facilmente e
velocemente, senza che nessuno ne parli. L'offerta degli americani
doveva essere stata molto generosa. L'autobus era pieno di persone,
due studentesse chiacchieravano del loro professore di ragioneria.
Una fece notare all'altra che il professore portava sempre la
cravatta delllo stesso colore dei calzini. L'altra disse che
naturalmente l'aveva notato pure lei. Una signora piu' anziana
sembrava infastidita dalla gente, ed era costretta a reggersi con
una mano all'autobus mentre l'altra reggeva una borsa di plastica
da cui spuntava del sedano e altre verdure. Un'altra signora
proprio di fronte a Paola si lamentava che gli autobus sono sempre
in ritardo ma con l'automobile e' impossibile parcheggiare in
centro. Il signore che era con lei la ascoltava, ma non sembrava
troppo preoccupato, o quantomeno non lo mostrava. Era intento a
sfogliare un settimanale pieno di fotografie a colori. Un grafico
con alcuni indicatori della situazione economica del paese
occupavano due pagine intere. Paola si lascio' distrarre durante
il tragitto dai rumori e dalle parole che riempivano l'autobus, ma
non appena mise piede a terra e si diresse verso casa la sua mente
torno' al mistero del castello.
Il castello di Drena si trovava a circa quaranta minuti di
automobile da Trento. Situato al termine della valle di Cavedine, si
affacciava sulla valle del Sarca e la dominava dall'alto. Per secoli, a
partire dal dodicesimo secolo, aveva svolto un ruolo strategico per
il controllo delle vie di comunicazione attraverso la valle del Sarca.
Ultimamente pero' aveva visto piu' turisti in bicicletta scendere dal
nord che non mercenari in cerca di villaggi da saccheggiare.
La statale aveva piu' curve che chilometri, ma sia Paola che
Andrea la conoscevano bene. Era quasi sera quando avevano deciso
di visitare il castello di Drena. Sarebbe stata una breve gita, ma
entrambi speravano di scoprire qualcosa di interessante da quelle
rovine. Che cosa esattamente stessero cercando non lo sapevano.
Mentre costeggiavano il lago di Toblino incrociarono una lunga
vettura bianca diretta verso Trento. Paola e Andrea si guardarono
negli occhi senza bisogno di dire una parola.
Alla fine del sentiero ghiaioso c'era il portone d'ingresso. Un
cartello bianco con larghe lettere rosse diceva:
"Il museo e il castello rimarranno chiusi a partire da febbraio a
tempo indeterminato".
Paola e Andrea proseguirono lungo il muro di cinta,
camminando fra gli arbusti. Molti anni fa queste mura sarebbe
state inaccessibili a chiunque non fosse armato di cannoni o
catapulte, ma il tempo aveva corroso la sua resistenza in modo
inesorabile, come nessuna armata era riuscita a fare. Varchi si
aprivano non molto lontani dalle fondamenta.
Ragginto un posto adatto, Andrea si arrampico' con cautela. Un
filo spinato era stato posto lungo il muro dove questo era crollato,
ma anche cosi, era necessario semplicemente un paio di guanti per
spostare il filo. Paola prese la mano di Andrea e si aiuto' a salire, in
pochi secondi erano entrambi all'interno delle mura. Il piazzale
era deserto, due mesi di mancate cure erano visibili nell'erba
cresciuta fra le pietre.
Camminarono verso la torre centrale, questa era ancora in
ottimo stato. La sua sagoma si stagliava imponente contro il cielo
grigio della sera.
Qualcosa sembrava muoversi all'interno. Un sottile filo di fumo
usciva da una finestra e si sentivano dei rumori e delle voci
soffocate. Paola e Andrea si portarono addosso al muro. Stavano
meditando se non fosse prudente uscire dal castello a questo punto.
La cosa si stava facendo troppo rischiosa.
--Non sparare, per favore non sparare. Bambino e' qui, sano e
salvo. Non sparare--
La voce era uscita dalla stanza, ma non si vedeva ancora
nessuno. A questo punto sembrava chiaro che c'era qualcuno
all'interno che aveva ancora piu' paura di loro.
--Uscite fuori--
Disse Andrea.
Due uomini uscirono lentamente, erano vestiti di stracci e uno di
loro teneva per mano un bambino.
--Bambino perso, noi trovato, cerchiamo di cucinare qualcosa da
mangiare--
I due uomini aveva la pelle scura e parlavano un italiano
difficile da capire, ma non sembravano ne' armati ne' pericolosi.
Poco per volta Paola e Andrea scoprirono che si trattava di due
extracomunitari che avevano pensato di usare le rovine come
alloggio temporaneo, i loro nomi erano Ali e Sindbad. Il bambino
era in realta' una bambina, la stessa bambina dai capelli ricci che
Andrea aveva visto il giorno precedente. A loro volta, Ali e Simbdad
capirono che Andrea a Paola non erano della polizia e non stavano
nemmeno cercando una bambina sperdutasi.
Il gruppo rientro' nella stanza del castello dove i due
extracomunitari avevano cercato di spegnere frettolosamente un
fuoco, quando avevano sentito dei rumori all'esterno.
--Noi abbiamo permesso di soggiorno--
Disse Ali frugando in un carrello del supermercato che
sembrava avera la funzione di arredamento.
--Vi crediamo, non e' questo il problema, ma non potete dormire
in questo castello. E la bambina come e' arrivata fin qua?--
Chiese Paola chinandosi per parlare con la piccola, che era
rimasta sempre molto tranquilla vicino a Simbdad. Il quale spiego'.
--Lei si chiama Sharazan.
Non parla italiano bene, ma viene da Tunisia. Io capire sua lingua-
-
La bambina seguiva con lo sguardo le persone che parlavano, e
sembrava comprendere esattamente cosa stesse succedendo, infatti
quando senti' la parola Tunisia disse, con voce sottile
--Si--
--Allora stai imparando l'italiano eh? Che brava--
Disse Paola sorridendole.
Simbdad spiego' che un gruppo di persone era venuto a visitare
il castello quella sera. Loro si erano nascosti in tempo, ma la
bambina era scappata e si era nascosta pure lei. Probabilmente
quelle persone non si erano nemmeno accorte della sua scomparsa,
o non sapevano che la bambina fosse venuta con loro. In ogni caso
nessun allarme era stato dato, e il gruppo di tre persone era
ripartito, meno di un'ora prima, senza la bambina.
Sherazan sapeva parlare un po' di inglese:
--We live in Trento. We live in nice big hotel, we are not
serving anyone now, they serve us--
Andrea chiese se si ricordava il nome dell'albergo in cui stava
con la sua famiglia, e lei disse di si, stava allo Sheraton.
Ali e Simbdad furono rincuorati nel vedere che Andrea e Paola
sembravano riuscire a comunicare con la bambina e sapevano
anche come riportarla a casa. Non sarebbe stato facile per loro
riportare la bambina senza generare sospetti. Andrea disse che
avrebbero avuto loro cura della bambina. Disse ai due
extracomunitari che non potevano continuare a vivere li' anche
perche' presto sarebbero iniziati i lavori di costruzione di un
grande parco di divertimenti. Alla fine comunque promise che non
li avrebbe denunciati se promettevano di andarsene entro pochi
giorni. Ali e Simbdad dissero che se ne sarebbero andati
sicuramente entro mercoledi perche' avevano una offerta di
lavoro presso uno stabilimento nei pressi di Treviso.
Capitolo 5
Un ospite
Lungo la strada di ritorno Paola parlo' ancora con Sherazan, ma
la bimba non era molto loquace, forse anche perche', nell'intento
di imparare una lingua nuova, preferiva ascoltare altre persone.
Disse di avere cinque anni, di essere arrivata da poco con suo zio e
che un ricco parente li aveva invitati in Italia. Quando Paola le
chiese il nome di suo zio lei rispose, quasi sorpresa.
--Ma mio zio si chiama come me, Smith--
Poi aveva mostrato la piccola borsa per la moneta che portava a
tracolla. Sopra erano stampate le iniziali "S.S.".
--Mmm, cosi tu ti chiameresti Sherazan Smith-- disse Paola con
un certo sospetto.
Non aveva molta importanza cercare di scoprire qualcosa di piu'
sul nome, era abbastanza chiara la provenienza della bambina.
Non era chiaro invece che cosa esattamente suo zio stesse facendo a
Trento.
--E perche' ti sei nascosta nel castello?--
Chiese Andrea scandendo le parole per farsi capire anche in
italiano. L'inglese non era mai stato il suo forte. Sherazan rispose
sbuffando ed alzando le spalle. Non era difficile indovinare che la
bambina si era annoiata.
--I put Jennifer under the blanket-- disse Sherazan sorridendo
maliziosamente, e aggiunse --Under the blanket, sleeping--
--Who is Jennifer?--
--Jennifer is my doll--
Dunque Sherazan aveva progettato un bello scherzo a suo zio,
facendo sembrare che lei era ancora sul sedile posteriore della
limousine addormentata.
--E adesso ti manca la tua bambola? You miss Jennifer?--
--A little--
--Well, your uncle probably misses you too--
--No, he is too busy. He plays with me, but here in Italy he is
always busy--
Giunsero a casa e salirono. La prima cosa da fare era
naturalmente mettersi in contatto con la famiglia. Telefonarono
allo Sheraton e chiesero di parlare con un ospite di nome Smith,
che aveva una bambina di circa cinque anni. Il telefono resto'
silenzioso per un po', poi l'usciere disse che non c'era nessuno al
momento. Paola spiego' che era una cosa importante e chiese di
lasciare un messaggio in cui diceva che Sherazan stava bene ed era
a casa loro.
--Probabilmente sono tornati a cercarti al castello--
--Si, Mario sara' arrabbiato--
Disse Sherazan che continuava a sorprendere per la sua
padronanza della lingua italiana. I bambini hanno questa capacita'
magica di stare ad ascoltare ad occhi spalancati le persone che
parlano, e assorbono le regole e le sfumature di una lingua come
nessun adulto sara' mai in grado di fare.
--E chi sarebbe Mario, tuo zio?-- Chiese Andrea.
--No, Mario smokes in the car. Mario not nice--
La storia si faceva sempre piu' complicata. Comunque a questo
punto c'era un altro problema piu' urgente da affrontare. Paola,
Andrea e Sherzan erano affamati.
--Cosa facciamo-- disse Paola, abbiamo pasta, carne, verdure, un
po' di tutto. A te cosa piacerebbe mangiare Sherazan?--
Senza esitazione la bambina rispose
--Hamburger e patatine--
Nei suoi gusti la bambina si dimostrava molto americana.
--Beh, Andrea sa fare gli hamburger, non e' vero?--
Cosi fu Andrea quella sera a cucinare. Hamburger e patatine
fritte non erano difficili da fare, ma a lui riuscivano molto meglio
che non a Paola.
Dopo aver mangiato misero Sherazan a dormire nella stanza
degli ospiti, le diedero un pigiama di varie misure troppo grande,
che alla bambina piacque immensamente, sia perche' era grande
sia perche' aveva la faccia di topolino stampata sul davanti.
Durante la notte Paola e Andrea ascoltarono il rumore insolito di
piccoli piedi scalzi che percorrevano la casa fino alla cucina,
seguito dal rumore dell'acqua che usciva dal rubinetto.
La mattina successiva era domenica, tutti dormirono fino alle
otto e mezza. La colazione fu a base di caffelatte, strudel di mele
fatto in casa, pane, burro e marmellata.
Poi Paola richiamo' l'albergo. Una voce profonda, ma insicura e
quasi spaventata disse.
--Is she all right? What happened?--
Paola spiego' tutto l'accaduto in poche parole e disse che
avrebbero potuto passare presso l'albergo quella mattina stessa a
riconsegnare la bambina.
--Yes, sure. No, wait, I will not be here. I was just called a few
minutes ago from my office in New York, I must finish some
business. Please, can you wait until I come there at two?--
Sherazan fu interpellata e disse che sarebbe stata contenta di
restare ancora alcune ore con Paola e Andrea.
Decisero che avrebbero potuto sfruttare la mattinata per una
gita in montagna. Presero la macchina e si diressero verso
Rovereto. La camminata che avevano scelto non era molto difficile,
e era lunga solo una mezz'oretta. Sherazan apprezzo' moltissimo la
montagna che fino a quel momento non aveva avuto occasione di
esplorare per nulla. Il sole splendeva alto nel cielo, e grazie anche
all'esercizio fisico della camminata non si sentiva il freddo. La
bambina ogni tanto si fermava ad indicare strani insetti, piccoli e
timidi, che si nascondevano sotto le foglie degli arbusti. Alcuni
avevano lunghe antenne in continuo movimento, altri invece
restavano del tutto immobili per poi ad un tratto volare via. Gli
insetti sembravano attirare l'attenzione di Sherazan piu' delle cime
innevate che li sovrastavano.
Paola disse, come pensando fra se' e se'.
--Strano pero' che questo signore riceva una telefonata dal suo
ufficio a New York di domenica. Ed e' ancora piu' strano se pensi
che noi abbiamo chiamato alle nove e mezza, e la telefonata da New
York era appena arrivata--
--Hai ragione-- disse Andrea anticipando i pensieri di sua
moglie --non ci avevo pensato. A New York alle nove e mezza ora
italiana sono ancora le tre e mezza di notte!--
La conversazione pero' non continuo' come se Paola e Andrea
avessere timore di scoprire tutti i loro sospetti in presenza di
Sherazan.
L'unico punto ripido del sentiero era verso la fine, dove si
raggiungeva un belvedere. Mentre si apprestavano a salire si
sentirono dei rumori, e alcune pietre cominciarono a rotolare.
Andrea prese Sherzan di peso e tutti e tre saltarono verso l'unico
riparo disponibile, una vecchia pianta il cui tronco era piegato
verso valle, ma ampio a sufficienza per proteggerli dalla frana.
Alcune pietre, grandi come palle da tennis, passarono molto vicino
alle loro teste. Quando la frana cesso', uscirono e si arrampicarono
al fianco delle rocce, mentre la polvere ancora si stava
depositando. In cima al belvedere non c'era nessuno, ma come una
strana sensazione percorreva ancora le loro schiene. Sotto di loro
l'Adige scendeva calmo come al solito, muovendosi a stento fra una
casa e una fabbrica, passando a destra e a sinistra della statale come
una vigna che si arrampica attorno al suo sostegno.
--Chi e' stato?-- chiese Sherazan.
--Non so, ma non ti preoccupare, tutto e' a posto adesso. Forse era
solo una frana-- Ma sapevano che non era solo una frana. Chi
poteva avere intenzione di uccidere Sherazan, o forse erano loro
due il bersaglio?
Scesero lentamente verso il parcheggio. Sulla strada due anziani
contadini parlavano in dialetto atesino. Si stavano lamentando che
certa gente viene dalle citta' e crede di poter andare dovunque in
macchina, invece di camminare. Le montagne si riempiono di
rifiuti e non si puo' piu' nemmeno respirare. Per non parlare del
rumore che sale dalla statale, un tempo si poteva chiamare
qualcuno in paese dal belvedere, se si gridava forte. Cosi almeno
sosteneva uno dei due contadini. Poco lontano dai loro piedi c'era
un cartello stradale divelto.
I due guardarono il gruppo con sospetto, ma quando Paola si
rivolse loro in dialetto sembrarono rassicurati e si tolsero il
cappello.
--Guardi qui --disse uno dei due-- vengon su con macchine
lunghe come un carro in maschera, di quelli che si tirano coi
trattori in piazza a carnevale, e poi per forza che tiran giť i
cartelli stradali--
--Avete visto la targa?--
--No, andavano di corsa anche. Ma saranno di sicuro di Milano--
Disse il contadino, e pronuncio' la parola Milano come se si
trattasse di uno di quei posti strani di cui si sente sempre parlare
alla televisione.
Capitolo 6
L'arresto
Giunti a casa nessuno sembrava avere appetito. Si sedettero
attorno al tavolo tutti e tre. Andrea si rivolse a Sherazan.
--E' un peccato che tu sia coinvolta in questa faccenda, ma c'e'
qualcosa di strano che sta succedendo in questa citta'. Hai voglia di
aiutarci?--
La bambina annui'.
--Bene, allora dimmi, per caso Mario indossa dei guanti di
pelle?-- La bambina annui' di nuovo. Paola guardo' Andrea
aspettando il resto della storia.
--Ok, dunque se Mario e' la persona che penso io sappiamo che
fuma, che indossa guanti di pelle, e che e' in contatto con politici
locali. Paolo Guerrini non fuma, e c'era odore di fumo nella sua
stanza venerdi'. Quando sono uscito in strada ho visto Sherazan con
suo zio e Mario e' sopraggiunto dalla direzione in cui si trova la
scuola. Capisci? Non solo, ma il professor Guerrini e' anche un
collaboratore dell"Alto Adige" e l'articolo che abbiamo letto l'altro
giorno come era firmato?--
--P.G.-- disse Paola prendendo in mano il quotidiano del giorno
precedente che era rimasto sul tavolo.
Il campanello squillo'. Lo zio di Sherazan sali' le scale
ansimando, poi abbraccio' Sherazan come se fossero stati lontani
per anni. Ringrazio' Paola e Andrea, e spiego' che lui costituiva
tutta la famiglia di Sherazan perche' i genitori della bambina
erano morti in un incendio in California tre anni prima.
--So, are you from California?--
L'uomo guardo' la bambina come se fosse incerto su quale storia
raccontare visto che Sherazan probabilmente aveva gia' avuto
modo di chiacchierare con quei due sconosciuti per una intera
giornata.
--We travel a lot-- disse alla fine, con quell'espressione
amichevole tipica delle persone grasse.
Sherazan stava pettinando Jennifer e ogni tanto si rivolgeva
alla bambola in una lingua sconosciuta.
L'americano si tolse il portafogli di tasca ed offri due biglietti da
centomila lire ad Andrea. Andrea tuttavia rifiuto' cortesemente, ma
disse che avrebbe accettato diecimila lire per la cena del giorno
precedente. Quando i due se ne furono andati Paola disse.
--Sei matto? Perche' hai voluto accettare dei soldi da quello
strano tipo?-- Poi sorrise e aggiunse scherzando --E poi se volevi
accettare tanto valeva che accettassi tutti quanti i soldi--
--Non capisci-- disse Andrea --questo potrebbe essere un altro
indizio, forse la polizia puo' risalire alla provenienza di queste
banconote. Non hai notato come il suo portafogli fosse gonfio di
banconote di piccolo taglio? Ti dice niente questo?--
--Ma cosa c'entra la polizia. Non abbiamo nessuna ragione per
andare dalla polizia, cosa dovremmo dire alla polizia?--
--No, noi direttamente non andremo dalla polizia, ma possiamo
fare di meglio--
La sera trascorse senza novita', e la mattina successiva, Poola e
Andrea si recarono molto presto presso la biblioteca della facolta'
di economia. Il bibliotecaio era appena arrivato, zoppicando
leggermente come al solito perche' il suo ginocchio gli creava
problemi da almeno dieci anni. Ma lui si era sempre rifiutato di
farsi visitare da un dottore per paura di doversi fare operare.
Paola e Andrea cercarono di sapere qualcosa di piu' su Di Pietro,
in particolare se fosse ancora in citta' e in quale albergo si
trovasse. Scoprirono che era andato a sciare quel fine settimana
con il pretore. Sembrava che avesse costituito una vera attrazione
turistica per gli sciatori domenicali che lo avevano rincorso sulle
piste per farsi fare un autografo. Pero' il bibliotecaio non sapeva
in quale albergo avesse pernottato. Era anzi probabile che questo
genere di informazioni fosse tenuto segreto per garantire un
minimo di tranquillita' al giudice. Poi il bibliotecaio abbasso' la
voce e disse di sapere che il giudice sarebbe tornato li quel giorno
stesso perche' aveva esplicitamente richiesto di riservare alcune
ore del terminale della biblioteca. Lui gli aveva risposto che i
terminali non si potevano riservare, ma che nel pomeriggio non
sono molto usati, soprattutto dopo le due. Di Pietro gli aveva quindi
assicurato che sarebbe arrivato alle due.
--Cosa facciamo-- disse Paola --io saro' al lavoro a quell'ora--
--Io pure -- Disse Andrea --c'e' un consiglio di istituto oggi
pomeriggio--
--Ho un'idea, lasciamo una lettera per il giudice e chiediamo al
bibliotario di consegnargliela--
Il bibliotecaio dopo un po' di insistenze si disse disposto a
consegnare la lettera personalmente nelle mani del giudice. Cosi
Andrea si sedette al tavolo della biblioteca e assieme a sua moglie
stese un racconto preciso di cio' che era successo. Scrisse che loro
sospettavano delle ragioni politiche per coprire i veri interessati
ad investire nella costruzione di questo famoso parco di
divertimenti e che sebbene non avessero prove volevano avere
un'occasione di essere sentiti di persona. Quindi concluse lasciando
l'indirizzo e il numero di telefono. Aggiunse la banconota ricevuta
dall'americano, poi chiuse la busta e la consegno' al bibliotecaio.
Dopo aver fatto lezione Andrea scopri' che il consiglio di istituto
era stato cancellato, e che pareva che il preside fosse ammalato. Ne
approfitto' per andare in biblioteca, ma scopri' che il giudice Di
Pietro se ne era gia' andato. La lettera era stata comunque
consegnata. Il bibliotecaio disse anche che il giudice aveva fretta
perche' aveva intenzione di fare ritorno a Milano quel giorno
stesso.
Trascorsero un altro paio di giorni senza grosse novita'. Il tempo
era cambiato ed ora pioveva in continuazione. Paola provo' a
chiamare lo Sheraton un paio di volte per rimettersi in contatto
con la bambina, ma senza successo. Anche del professor Paolo
Guerrini non c'era traccia.
Era mercoledi', Andrea quasi mando' di traverso il latte che stava
bevendo quando vide la prima pagina del quotidiano.
"Cosi tentavano di riciclare il denaro delle tangenti"
Subito sotto il titolo c'era una fotografia di John Smith, che stava
entrando a fatica sul sedile posteriore di una macchina della
polizia. Poco dietro, ma riconoscibile, c'era il giudice Di Pietro.
Andrea chiamo' Paola quasi urlando ed insieme lessero
l'articolo. Si diceva che soldi fatti fuoriuscire dalle casse dello stato
nel periodo precedente allo scandalo di tangentopoli erano stati
usati per ingaggiare un americano, residente in Tunisia. Costui era
stato fanno venire in Italia per comprare un territorio in trentino
e probabilmente costruire un parco di divertimenti. Si diceva che
il nome dell'americano era John Smith ma si stava indagando sulla
reale identita' della persona.
Andrea scese dal giornalaio a comprare un paio di quotidiani a
tiratura nazionale che generalmente erano piu' affidabili di quello
locale. Su "La Repubblica" il titolo era:
"Cosi progettavano di continuare a divertirsi alle nostre spalle"
C'era anche un articolo in cui si narrava una storia un po'
romanzata di un certo John Pepe Smith, nato negli Stati Uniti da
famiglia benestante. Suo padre era un predicatore di una certa
fama, abituato a girare con l'intera famiglia in lungo e in largo
per il sud degli Stati Uniti. In Arizona John si guadagno' il
soprannome di Pepe perche' assomigliava ad un pupazzo in una
pubblicita' televisiva di una catena di ristoranti messicani. Quando
Pepe divenne maggiorenne celebro' l'evento spendendo tutti i soldi
che aveva in una slot machine del casino' di Las Vegas. A causa di
questo comportamento irresponsabile suo padre lo caccio' di casa, e
lui trovo' lavoro con una compagnia turistica che gestiva albeghi
in Tunisia. Il lavoro risulto' molto meno entusiasmante del previsto
ma Pepe si stabili in Tunisia e dopo che il padre fu ricoverato in
una clinica per alcolismo, e sua sorella mori in un incendio, si
ritrovo' anche a dover allevare una bambina. Questa bambina si
trovavano con lui in Italia in questo momento. Quando un noto
politico italiano aveva fatto una offerta a Pepe affinche' andasse in
Italia ad investire una grossa somma di denaro, l'americano non
aveva saputo resistere. L'articolo sembrava quasi simpatizzare con
il personaggio di cui narrava la vita. Ogni resposnsabilita' veniva
fatta ricadere o sul sistema sociale americano, o sui corrotti politici
italiani.
La maggior parte dei dettagli della storia provenivano da cio'
che l'americano aveva raccontato al giornalista durante una
lunghissima telefonata, quindi non si sapeva fino a che punto tutto
cio' fosse vero. Anche il nome del professor Paolo Guerrini era
citato nell'articolo come uno dei legami fra gli investitori all'estero
e i politici in Italia.
Un altro particolare era che un certo Mario Gavi, proveniente
dalla malavita della capitale, era stato arrestato come facente parte
dell'organizzazione criminale. Si diceva anche che Mario aveva
una lussatura al braccio a causa di una lite con l'americano. La
causa, pareva fosse un tentativo da parte del Gavi di eliminare
alcuni testimoni assieme alla bambina con una frana in montagna.
Anche questo pero' era solo una ricostruzione basata sulle
interviste con i responsabili e non la versione ufficile degli organi
inquirenti.
Capitolo 7
La conclusione
Molte cose erano ora chiarite. La provenienza di John Pepe, e
della bambina per esempio. La natura delle trame politiche al di
sotto dell'investimento nel progetto per un parco dei divertimenti.
La presenza di Di Pietro a Trento, che vi era giunto evidentemente
sulla pista del denaro ricavato dalle tangenti.
In un certo senso Paola e Andrea si sentivano tranquillizzati e la
loro fiducia nelle istituzioni era rinvigorita. Allo stesso tempo pero'
si chidevano come mai nessuno li aveva contattati. Era stata
l'informazione che loro avevano fornito a Di Pietro a permettere la
soluzione del caso. E se era cosi non meritavano forse anche loro
almeno una botta sulla spalla, una intervista sul giornale, o magari
una medaglia del presidente della Repubblica?
Paola aveva appena finito di lavare i piatti quando il telefono
squillo'.
--Buonasera-- disse una voce familiare --sono Antonio Di Pietro,
sto cercando di mettermi in contatto con una persona che mi ha
lasciato una lettera la settimana scorsa presso la biblioteca di
Trento.--
L'emozione era grande, a Paola batteva forte il cuore. Spiego'
che la lettera l'avevano lasciata loro, che avevano voluto fornire al
giudice tutti i dettagli in loro possesso per aiutare l'indagine.
Andrea aveva lasciato cadere il martello che stava usando per
appendere un poster alla parete ed era ora al fianco di sua moglie,
con l'orecchio appoggiato alla cornetta.
--Siamo felici di essere stati utili--
--Veramente la ragione per cui chiamo e' che ancora adesso non
so cosa ci sia scritto nella lettera. Non sono riuscito a decifrare la
callligrafia, a parte poche parole e il numero di telefono--
Paola e Andrea si guardarono negli occhi, questa non era fra le
mille ipotesi che erano passate per la loro testa in quei giorni. Era,
per la verita', una spiegazione bizzarra ma semplice e ragionevole
allo stesso tempo. Chiacchierarono per un po' al telefono e il
giudice si congratulo' per il loro coraggio e per il fatto che erano
praticamente riusciti a risolvere quasi tutto da soli, mentre lui
seguiva quel caso da almeno sei mesi. Poi disse anche che anche lui
aveva lo stesso problema, la sua calligrafia era indecifrabile, e
anche sua madre si lamentava sempre. Disse che pero' ultimamente
si avvaleva sempre piu' dei computer e questo aveva praticamente
risolto la situazione. C'era bisogno di maggior informatizzazione
nella nostra societa', mentre alcune scuole si ostinano ancora ad
insegnare stenografia.
--Gia'-- disse Andrea.
Epilogo
Andrea divenne preside dell'istituto, ed ora le pareti della scuola
sono pitturate e c'e' una carta geografica in ogni aula.
Sherazan fu data in affidamento a Paola ed Andrea, ed ora parla
molto bene l'italiano.
La stanza degli ospiti e' piena di vita. Giocattoli sono sparsi
sul pavimento, e sullo scrittoio di fronte alla finestra c'e' anche un
nuovo Macintosh.
Indice
Capitolo 1 Una limousine a Trento
Capitolo 2 Una vacanza in Africa
Capitolo 3 La biblioteca
Capitolo 4 Il castello di Drena
Capitolo 5 Un ospite
Capitolo 6 L'arresto
Capitolo 7 La conclusione
Epilogo
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Marco Bertamini /
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Last Modified: October 22, 1999